Sono probabili aumenti dei rendimenti a breve termine, ma quelli a lungo termine rimarranno ancorati su livelli bassi.
Il 2021 è stato caratterizzato da un contesto di crescita fortemente superiore al livello tendenziale e da un’inflazione superiore rispetto ai target delle banche centrali. Questo perché i lockdown e le restrizioni economiche hanno lasciato il posto alle campagne di vaccinazione, alle riaperture e all’aumento della domanda di beni e servizi. Tutto ciò ha portato a un contesto di rialzo dei tassi, ma il percorso non è stato lineare. I rendimenti sono aumentati nel primo trimestre grazie alla prospettiva della reflazione, lasciando spazio a un calo dovuto alla variante delta durante l’estate, ma poi i tassi hanno ripreso a salire a partire dal terzo trimestre. In questo contesto, i tassi delle obbligazioni sovrane hanno registrato una performance negativa, mentre i settori obbligazionari più rischiosi hanno ottenuto un extra-rendimento positivo, grazie al restringimento degli spread a partire dal 2020 (Figura 1).
Mentre ci avviciniamo al 2022, tutti gli occhi sono puntati sull’inflazione, poiché che i dati dell’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) continuano a toccare massimi pluridecennali. Ci aspettiamo che l’inflazione inizi a diminuire a partire dalla metà del 2022. Tuttavia, la volatilità dell’inflazione mensile continuerà anche nel 2022, poiché le problematiche della catena di approvvigionamento stanno durando ben oltre le aspettative iniziali. In questo articolo esamineremo tre dimensioni delle nostre prospettive per il 2022:
In un contesto macroeconomico solido, stiamo assistendo al passaggio da una politica monetaria iper-espansiva ad una politica monetaria più restrittiva. Le banche centrali di tutto il mondo hanno adottato posizioni più conservatrici, dando priorità al ridimensionamento degli stimoli attuati attraverso il quantitative easing (QE). La Federal Reserve e altre banche hanno iniziato a ridurre i loro programmi di acquisto di attivi avviati nell’era COVID. Per esempio, a novembre la Fed ha annunciato la riduzione del suo programma QE da 120 miliardi di dollari al mese con un ritmo di diminuzione di 15 miliardi al mese (10 miliardi di dollari di Treasury, 5 miliardi di dollari di agency MBS), con l’obiettivo di terminare il programma a metà del 2022. Inoltre, le banche centrali hanno indicato che all’orizzonte si intravedono già i primi rialzi dei tassi dall’inizio della pandemia. I rendimenti nella parte iniziale della curva sono conseguentemente risaliti e nei mercati degli interest rate swap le aspettative di rialzo dei tassi sono aumentate drasticamente da settembre (Figura 2).
Variazione del tasso di riferimento a 1 anno implicita nel mercato (%)
Gli aumenti dei tassi di riferimento nel 2022 sembrano essere una conclusione scontata, specialmente a causa della continua vischiosità dell’inflazione; ma i rendimenti delle obbligazioni governative sono aumentati troppo e troppo rapidamente? Questo è possibile e per vari motivi. In primo luogo, pensiamo che il contesto di bassa crescita strutturale e bassi rendimenti sul lungo termine (Figura 3) non cambierà significativamente quando il COVID passerà da pandemico a endemico nei prossimi anni.
In secondo luogo, pur aspettandoci difficoltà nella catena di approvvigionamento e un’inflazione ben al di sopra del target per i prossimi 6-12 mesi (come minimo), crediamo che queste pressioni inflazionistiche alla fine svaniranno. Infine, mentre i rendimenti a breve termine sono aumentati, i rendimenti a lungo termine sono rimasti più ancorati, determinando a un appiattimento della curva dei rendimenti dall’inizio dell’anno. Il modesto rialzo nel segmento a lungo termine potrebbe implicare che l’inflazione e le aspettative di crescita sono più attenuate e che il segmento a breve termine si sia mosso troppo velocemente. Nonostante gli aumenti nella parte iniziale, i mercati degli interest rate swap negli Stati Uniti continuano a scontare un tasso dei Fed Funds a lungo termine inferiore all’1,75% (figura 4), ben al di sotto del 2,5% rappresentato nel dot plot della Federal Reserve.
L’andamento dei Fed Fund implicito nei tassi del mercato statunitense
I mercati rimangono scettici su quanto i tassi possano salire dai livelli attuali nel lungo termine, e lo siamo anche noi. Ci aspettiamo che le curve si appiattiscano ulteriormente, con i rendimenti del segmento iniziale della curva che continuano ad essere spinti verso l’alto, mentre la parte lunga della curva resta maggiormente piatta.
Gli spread nei settori obbligazionari più rischiosi come il credito investment grade (IG) e high yield (HY) dovrebbero continuare ad essere favoriti da un quadro fondamentale in rapido miglioramento dopo un 2020 difficile. L’imponente risposta politica durante il COVID, fra cui anche gli acquisti di attivi di ETF obbligazionari e obbligazioni corporate IG e HY da parte delle banche centrali, ha contribuito a stabilizzare rapidamente gli spread di credito e a limitare la profondità e l’ampiezza della flessione del settore obbligazionario. Nell’ambito dell’attuale ciclo del credito, siamo passati dalla crisi alla ripresa e poi all’espansione in meno di due anni. Di conseguenza, i fondamentali societari dell’IG sotto forma di rapporti di indebitamento, margini e crescita dell’EBITDA sono migliorati notevolmente, riportandosi ai livelli pre-COVID (Figura 5). Ci aspettiamo che gli spread del credito rimangano relativamente compressi man mano che ci avviciniamo al 2022, nonostante le valutazioni siano già vicine ai massimi di lungo termine. Questo grazie ai fondamentali solidi e alla continua ricerca di rendimento da parte degli investitori esteri. Infine, uno scenario più ottimista per le “rising star” contribuirà a creare un contesto favorevole per quanto riguarda i default e i declassamenti societari. Nonostante le valutazioni, gli spread obbligazionari più rischiosi superano ancora di gran lunga i rendimenti governativi e dovrebbero essere una buona fonte di carry anche nel 2022.
I rischi per le nostre previsioni sono tutti centrati sull’inflazione. Se continuiamo a registrare dati mensili prossimi all’1%, le banche centrali potrebbero essere costrette a iniziare ad aumentare rapidamente i tassi di interesse, mettendo così un freno alla ripresa. Alti livelli di inflazione associati a un forte rallentamento della crescita rappresentano lo scenario peggiore, dato che non ci sono soluzioni facili per affrontare la stagflazione. D’altra parte, un rapido rallentamento dell’inflazione a livelli inferiori all’obiettivo del 2% della Fed suggerirebbe che le dinamiche strutturali disinflazionistiche che determinano la bassa crescita (fattori demografici e tecnologia, tra gli altri) sono più forti di quanto si pensasse e probabilmente richiederanno una politica fiscale che contribuisca ad affrontare queste sfide.